BORDO
E se finisci il foglio, continua sul banco
Dati sensibili è la newsletter di BUNS che arriva due volte al mese, il 7 e il 21. Ogni numero parte da una parola sola. Questa volta è bordo - non quello del burrone (forse), ma quello dei margini dove succedono le cose interessanti. Siamo tutti un po’ sul bordo di qualcosa: di una notifica, di un burnout, di una rivoluzione algoritmica.
Il bordo è il nuovo centro, il luogo dove la cultura si mescola e i confini saltano. Ci vivono i remix, le lingue miste, le mode nate per caso e i dati che non stanno mai fermi. È il punto in cui la globalizzazione diventa intima e la località diventa globale. Non troverete definizioni, solo mappe provvisorie. Il bello del bordo è che non si lascia mai disegnare del tutto.
Da piccoli ci insegnano a stare nei bordi
A colorare senza uscire dal margine, a scrivere dritto dentro le righe, a non superare la cornice del quaderno. Ricordo la maestra Anna che, quando qualcuno finiva lo spazio, diceva ridendo: “Se finisci il foglio, continua sul banco.” Era una battuta, ma mi è rimasta addosso. C’era dentro una libertà che all’epoca non capivo: l’idea che si potesse andare oltre, anche solo per gioco.
Per anni ho provato a restare dentro i bordi dei ruoli e delle aspettative. Poi il mondo ha iniziato a traboccare - lo schermo è diventato finestra, il lavoro è entrato in casa, le identità si sono fatte fluide. E noi, dentro tutto questo, abbiamo smesso di sapere dove finiamo e dove iniziamo. Non stiamo più nei bordi, come società e come persone. Sconfiniamo in continuazione: tra reale e digitale, tra intimo e pubblico, tra chi eravamo e chi stiamo diventando.
E forse non è un male. Perché il bordo non è più un limite, ma un linguaggio. È il punto in cui le cose si toccano, si mescolano, cambiano pelle.
Il mondo che trabocca
Viviamo in un’epoca in cui i confini si stanno sciogliendo. Quelli geografici, e anche quelli culturali. L’intelligenza artificiale traduce in tempo reale, le serie coreane vincono premi americani, le hit nigeriane scalano le classifiche globali. Il Billboard 200 oggi è un mosaico: dentro ci convivono Rosalía, Burna Boy, BTS e Taylor Swift.
Mentre i governi alzano muri, la cultura li attraversa come se non esistessero. Un peluche nato a Hong Kong, come Labubu, diventa un fenomeno in Occidente; l’anime giapponese sostituisce la nostalgia anni Novanta; le tradizioni locali diventano virali su TikTok. È come se la geografia si fosse trasferita dentro i nostri schermi. Ogni scroll è un viaggio, ogni algoritmo una frontiera da superare.
Quando il margine diventa centro
Per molto tempo abbiamo pensato il mondo come un disegno ordinato: da una parte il centro, dall’altra le periferie. Quella mappa non regge più. Oggi la creatività nasce ai margini, nei luoghi che una volta erano invisibili. Una DJ sudafricana come Uncle Waffles lancia un suono che diventa trend globale; una ricetta vietnamita o un meme messicano finiscono nelle nostre home con la naturalezza di un’amica che ci scrive su WhatsApp.
Le piattaforme di streaming hanno cancellato i confini linguistici e culturali. Una volta c’era la “cultura mainstream”, ora invece un’enorme rete di micro-culture che si imitano e contaminano. Il bordo, in tutto questo, non è più il perimetro: è il punto di incontro, la soglia dove il diverso si trasforma in novità.
Appartenere a più mondi
È nata così una nuova forma di appartenenza.
Non più legata a una nazione o a un luogo preciso, ma a un insieme di segni, suoni, abitudini condivise. Oggi possiamo sentirci parte di una comunità che vive tra lingue, estetiche e sensibilità diverse. Guardiamo serie coreane, ascoltiamo musica afrobeats, seguiamo artisti che scrivono in inglese e cantano in spagnolo. È la globalizzazione, sì, ma anche qualcosa di più intimo: una forma di familiarità trasversale, dove la distanza diventa curiosità.
Allo stesso tempo, però, il mondo là fuori si fa più rigido. Mentre la cultura mescola, l’economia separa. Le frontiere si chiudono, le alleanze si ridefiniscono, e i Paesi si riscoprono gelosi della propria influenza. È un paradosso interessante: la cultura unisce, la politica divide. Siamo in un’epoca in cui tutto si muove in direzioni opposte - e il bordo è proprio quel punto di tensione dove le due forze si toccano.
I dati oltre la linea
Anche i dati vivono questa ambiguità.
Non stanno più fermi in un posto, si spostano, si traducono, si ricombinano. Ogni giorno attraversano server, lingue, contesti diversi, perdendo una forma e trovandone un’altra. Ma dentro ogni dato resta sempre una traccia di umanità. I piccoli dati - quelli che osserviamo nei gesti quotidiani, nei commenti, nelle foto salvate per caso - sono i veri bordi del nostro tempo. Raccontano le sfumature, i passaggi, i margini invisibili delle trasformazioni.
Una mail dimenticata in bozze, un post lasciato a metà, una tab aperta da mesi: piccoli indizi di un’umanità che non si è mai del tutto ordinata. Anche questo è dato sensibile: ciò che non rientra nei campi del form, ma resiste nei margini.
Abitare il bordo
Forse abitare il bordo è l’unico modo realistico di vivere oggi. Accettare che non tutto si può definire, che il cambiamento non ha un perimetro, e che la vita - digitale, culturale, personale - è fatta di passaggi più che di confini.
Il bordo è dove si inventano le lingue nuove, dove le cose si contaminano e prendono senso. È dove nasce la curiosità, dove i dati si fanno umani e le storie trovano il loro tono. In fondo, è sempre la stessa lezione di quella maestra: se finisci il foglio, continua sul banco. Perché è lì, sul bordo, che le storie cominciano davvero.


